Il cambiamento climatico influenza in modo decisivo la vita del nostro pianeta, con conseguenze spesso drammatiche sulla economia e la sopravvivenza delle popolazioni. La ricerca scientifica studi i fenomeni naturali e Tutti noi abbiamo sentito e letto notizie sulla Corrente del Golfo, su El Niño e La Niña, sugli uragani nelle zone tropicali (hurricane) e recentemente dei ‘Medicane’.
Per poter valutare lo stato di benessere dei mari esistono paramenti fondamentali da conoscere ed analizzare, in particolare:
La temperatura è un parametro utilizzato come indicatore di calore.
È una grandezza fisica che determina gli scambi spontanei di calore tra corpi diversi: il calore fluisce da un corpo a temperatura maggiore verso un corpo a temperatura inferiore.
Gli scambi di calore sono un’importante interazione tra superficie del mare e atmosfera.
Lungo il profilo verticale della colonna d’acqua la temperatura diminuisce, con valori generalmente maggiori in superficie. Lungo questo gradiente verticale si trova il termoclino, strato lungo il quale la temperatura diminuisce drasticamente, separando una zona superficiale più calda (mixed layer) dalla zona profonda, più fredda, lungo la quale la temperatura rimane pressoché costante.
La temperatura e il suo profilo verticale sono influenzate dalla latitudine, con un aumento di temperatura a latitudini minori, e dalle stagioni.
La temperatura, insieme alla salinità, determina la densità dell’acqua e di conseguenza caratterizza le masse d’acqua e ne influenza i movimenti. In aggiunta, influisce su altri parametri come la solubilità dei gas disciolti, es. ossigeno.
Unità di misura: Vi sono diverse unità di misura: p.e. gradi centigradi, gradi kelvin. Idealmente si vorrebbe misurare una temperatura assoluta, ovvero una temperatura la cui scala inizia da uno zero assoluto. Poiché l’uso di una scala di temperatura assoluta è abbastanza difficile, si usano delle scale pratiche che derivano da calibrazioni in valori ben definiti quali il ‘triplo punto dell’acqua’ (il più conosciuto – ma anche il triplo punto dell’idrogeno, il punto di congelamento dell’argento o dell’Indio). La scala pratica di temperatura è stata revisionata nel 1887, 1927, 1948, 1968, 1990).
Valore medio degli Oceani: ˜3,5°C
Valore medio dello strato superficiale del Mar Mediterraneo (0 – 150 m): ˜ 15,4°C
Valore medio dello strato intermedio del Mar Mediterraneo (150 – 300 m): ˜ 13°C
Per approfondire
La temperatura è un parametro importante per la vita degli organismi acquatici. Ognuno di questi è adattato a vivere a diverse temperature: gli organismi che vivono ai poli saranno adattati a temperature più fredde, mentre quelli che vivono all’Equatore a temperature più calde. Negli ultimi decenni stiamo assistendo a un aumento globale della temperatura delle acque. Questo processo ha effetti negativi su moltissimi aspetti, dalla vita degli organismi marini fino alla regolazione del clima di tutto il mondo.
L’aumento della temperatura causa gravi danni a quegli organismi ben adattati a delle temperature stabili, come i coralli. Questi sono animali coloniali formati da un grandissimo numero di piccoli polipi. Per vivere, i coralli si trovano in simbiosi con le zooxantelle: alghe unicellulari che vivono all’interno dei polipi, dove svolgono la fotosintesi e producono sostanze nutrienti e ossigeno. Quando la temperatura diventa troppo alta, le zooxantelle vengono espulse dai polipi dei coralli, i quali si sbiancano e lentamente muoiono, con ripercussioni su interi ecosistemi.
La temperatura influenza anche la solubilità dell’ossigeno nell’acqua, ovvero quanto ossigeno può essere presente. Quando l’acqua diventa più calda la solubilità dell’ossigeno diminuisce, quindi il riscaldamento del mare ha come conseguenza anche una diminuzione dell’ossigeno disponibile per gli organismi marini.
A livello fisico invece, all’aumentare della temperatura dell’acqua e dell’aria, aumenta anche lo scioglimento dei ghiacci ai poli, con importanti ripercussioni a livello globale, come l’aumento del livello del mare e la diminuzione della sua salinità.
La salinità indica la quantità di sali disciolti all’interno di un campione d’acqua.
Al più semplice livello di definizione, la salinità è la quantità totale di materiale disciolto (misurato in grammi) in un chilogrammo di acqua di mare. Quindi la salinità è una quantità adimensionale. La definizione pratica che potesse permettere un’accurata misura è sempre stata difficile. I primi approcci per ‘pesare’ la quantità di materiale disciolto prevedevano l’evaporazione dell’acqua, ma ben presto si scoprì che anche una parte del materiale disciolto veniva trasportato via dai vapori. Per evitare questo inconveniente, fu proposto (intervenendo chimicamente) di definire salinità come “quantità totale di materiale solido (in grammi) disciolto in un chilogrammo di acqua marina quando tutto il carbonato è stato convertito in ossido, bromo e iodio rimpiazzati da cloro e tutto il materiale organico completamente ossidato”. Una bella complicazione dal punto di vista pratico, e così fu proposta nel 1964 una formula che legava la salinità al contenuto di cloro, elemento facilmente misurabile con analisi chimica. Contemporaneamente si cominciò a lavorare su formule che legavano salinità a conducibilità. Queste formule sono state costantemente aggiornate fino al raggiungimento della TEOS 10. Queste formule si basano sul principio per il quale all’aumentare della salinità aumenta proporzionalmente la conducibilità dell’acqua. Dunque, dalla misura della conduttività è possibile ricavare la salinità di un campione d’acqua.
I componenti maggiori dell’acqua di mare sono undici, e sono quelli che ne conferiscono la salinità (5 cationi, 5 anioni e un elemento indissociato).
La salinità superficiale segue un gradiente latitudinale influenzato da evaporazione dell’acqua marina e dalle precipitazioni atmosferiche, con un aumento dalle zone polari alle tropicali, mentre nella fascia equatoriale si ha una leggera diminuzione della salinità conseguente ad un aumento delle precipitazioni.
Afflusso di acque dolci e fusione dei ghiacci sono ulteriori fattori che influenzano la salinità superficiale.
La salinità, insieme alla temperatura, determina la densità dell’acqua e di conseguenza caratterizza le masse d’acqua e ne influenza i movimenti. Inoltre, influisce su altri parametri, come la solubilità dei gas disciolti, es. ossigeno, e la temperatura di congelamento dell’acqua.
Unità di misura: Come per la temperatura, la scala di misura della salinità del mare è cambiata nel tempo in base alle tecnologie e le metodologie di misura e all’evoluzione del concetto pratico di salinità. La scala di misura si è evoluta dall’ unità ppt (parti per mille), a psu (unità pratica di salinità) e poi alla Salinità Assoluta (TEOS10 - un numero puro) per i motivi che saranno dati della ‘Descrizione’. Una definizione di salinità è stata data nel 1889 e pubblicata nel 1902. Nel 1964 l’UNESCO approvò una nuova definizione basata sulla ‘clorinità’ e nel 1966 fu approvata la relazione salinità e clorinità. Nel 1978 fu approvata la Scala Pratica di Salinità (pss). Nel 1980 fu definita una Equazione Internazionale dell’Acqua del Mare, e nel 2010 fu definita la Equazione Termodinamica (TEOS 10) per la stima della Salinità Assoluta. Nella riunione UNESCO che si tenne per l’approvazione di TEOS 10 fu espressamente dichiarato che questa non sarebbe stata l’ultima revisione del calcolo della salinità.
Valore media degli oceani: 34.7 psu
Valore medio dello strato superficiale del Mar Mediterraneo (0 – 150 m): ˜ 36.2 psu
Valore medio dello strato intermedio del Mar Mediterraneo (150 – 300 m): ˜ 38.4 psu
Per approfondire
La densità del mare è data da temperatura, salinità e profondità/pressione. Differenze orizzontali di densità portano alla formazione delle correnti termoaline. A causa del riscaldamento globale, la salinità del mare nelle zone polari rischia oggi di diminuire per l’aumento dello scioglimento dei ghiacci, costituiti da acqua dolce, con effetti sulla densità delle masse d’acqua e di conseguenza sulle correnti termoaline.
La salinità ha influenza anche sugli organismi viventi. Gli organismi marini non hanno uno strato di epidermide esterno come quello degli organismi che vivono sulla terraferma, e hanno quindi la possibilità di scambiare acqua attraverso la superficie del proprio corpo. Questo aspetto è sicuramente un vantaggio adattativo all’ambiente in cui vivono, ma se la salinità dell’acqua dovesse variare troppo rispetto a quella a cui sono abituati non riuscirebbero a sopravvivere. Sia che la salinità aumenti che diminuisca, l’equilibrio dei sali e dell’acqua all’interno del corpo degli organismi marini viene turbato, fino a causarne la morte. Quando la salinità raggiunge valori molto alti, le condizioni diventano insostenibili per la vita, se non per pochi organismi unicellulari adattati a vivere in condizioni estreme. Un esempio di questa condizione è il Mar Morto: il mare, o meglio il lago, più salato del mondo, dove non sono presenti forme di vita visibili ad occhio nudo.
La conducibilità è una proprietà dell’acqua di mare. In essa sono infatti disciolti ioni positivi e negativi che rendono la soluzione un ottimo conduttore di elettricità. Questi composti sono quelli che conferiscono la salinità all’acqua di mare; pertanto, la misura di conduttività è utilizzata proprio per ricavare il parametro salinità, parametri direttamente proporzionali.
La conducibilità è pertanto la misura della conduttanza dell'acqua per azione degli elettrodi di rilevamento sull'elettrodo di conduttività. Il segnale di risposta viene espresso in mS/cm. Si noti che la conduttività delle soluzioni di specie ioniche dipende fortemente dalla temperatura.
Unità di misura: mS/cm
Per approfondire
L’acqua di mare è un ottimo conduttore di elettricità. Al suo interno infatti sono disciolti dei composti carichi positivamente e negativamente che permettono all’elettricità di fluire nell’acqua. Grazie a questa proprietà si può calcolare il parametro conduttività dell’acqua.
I composti che rendono l’acqua di mare un buon conduttore di elettricità sono proprio quelli che conferiscono all’acqua la sua salinità. L’importanza della conduttività è data proprio da questo suo legame con la salinità. Calcolando la conduttività si può infatti, tramite complesse formule, ricavare poi la salinità dell’acqua, parametro molto importante per gli equilibri fisici e biologici delle masse d’acqua (Vedi Salinità).
La conducibilità è utilizzata anche per misurare i parametri: funzione non lineare (nLF) della conducibilità, conduttanza specifica e solidi disciolti totali.
La conduttanza specifica viene misurata utilizzando la stessa tecnica della conducibilità, ma la sonda utilizza i valori di temperatura e conduttività per generare un valore di conduttanza specifico compensato a 25 °C.
La funzione non lineare (nLF) della conducibilità è definita dallo standard ISO 7888 ed è applicabile per la temperatura per la compensazione della conducibilità elettrolitica delle acque naturali. Questa convenzione è tipicamente utilizzata nei mercati tedeschi.
Questo parametro indica la quantità di ossigeno disciolto presente in un litro d’acqua.
La concentrazione dell’ossigeno disciolto è regolata da processi fisici e biologici.
La circolazione oceanica e l’interazione tra atmosfera e superficie del mare influenzano la quantità di ossigeno disciolto in acqua. Molecola gassosa, l’ossigeno (O2) subisce infatti scambi tra l’aria e la superficie del mare per diffusione, seguendo il suo gradiente di concentrazione (processo chiamato ventilazione).
Anche processi di fotosintesi e respirazione svolgono un ruolo fondamentale nel controllo dell’ossigeno. Lungo la colonna d’acqua si passa da zone di produzione netta di ossigeno, in cui i processi di fotosintesi superano quelli di respirazione, a zone in cui i processi fotosintetici diminuiscono e si assiste al declino della presenza di ossigeno, consumato dalla respirazione degli esseri viventi.
La concentrazione minima di ossigeno disciolto si trovano intorno ai 1000 m di profondità, dove si ha un massimo dell’attività degradativa da parte dei batteri decompositori e dei processi di consumo dell’ossigeno. Al di sotto dei 1000 m la concentrazione di ossigeno aumenta nuovamente e rimane stabile grazie alla ventilazione delle acque profonde da parte della circolazione oceanica.
Le variabili che possono influenzare la quantità dell'ossigeno disciolto includono temperatura e salinità: all’aumentare della temperatura, così come della salinità, la solubilità dell’ossigeno in acqua diminuisce.
Unità di misura: mg/L o µg/L
Contenuto medio negli oceani prima degli anni ’80: ˜ 130 µg/L
Contenuto medio negli oceani nel XXI secolo: ˜ 100 µg/L
Per approfondire
Anche in acqua, come sulla terraferma, è necessaria la presenza dell’ossigeno per la vita. Pesci, cetacei, molluschi, crostacei e molti altri organismi marini devono respirare ossigeno per poter vivere, proprio come gli animali che vivono fuori dall’acqua.
L’ossigeno presente in mare deriva in parte dall’atmosfera, ma in parte viene prodotto anche in acqua da organismi autotrofi, ovvero piante, alghe e fitoplancton (alghe di piccolissime dimensioni, formate anche da una sola cellula) che svolgono la fotosintesi.
Lungo la colonna d’acqua si passa da zone di produzione netta di ossigeno, in cui i processi di fotosintesi superano quelli di respirazione, a zone in cui i processi fotosintetici diminuiscono e si assiste al declino della presenza di ossigeno, consumato dalla respirazione degli esseri viventi. Dove il popolamento fitoplanctonico ha più energia luminosa a disposizione produce di più rispetto a quello che consuma e quindi tutta la produzione non utilizzata dal fitoplancton può essere esportata a livelli trofici superiori. La profondità in cui la quantità di produzione è pari alla quantità di respirazione è il punto di compensazione: il fitoplancton produce tanto quanto è necessario per il suo metabolismo.
A una maggiore profondità invece la luce diminuisce e con essa la produttività del fitoplancton: il popolamento consuma quindi più ossigeno di quello che produce.
Se l’ossigeno in acqua dovesse diminuire molto, come sta capitando secondo un rapporto dell’IUCN del 2019, la sopravvivenza degli organismi marini verrebbe messa a repentaglio, con conseguenze sulla biodiversità e sugli equilibri degli ecosistemi marini.
La clorofilla a è un pigmento fotosintetico di colore verde presente in tutti gli organismi vegetali marini, di grandi e piccole dimensioni. È un parametro utilizzato per valutare e quantificare la biomassa fitoplanctonica in mare. La componente fitoplanctonica è formata da microalghe, ovvero organismi autotrofi con dimensioni da pochi a centinaia di micron. In questi organismi è presente la clorofilla, pigmento che assorbe la luce con due picchi di assorbimento, intorno alle lunghezze d’onda di 430 nm e 660 nm. È indispensabile per la realizzazione della fotosintesi ossigenica, processo che permette di trasformare energia luminosa in energia chimica, utilizzabile dalla cellula per la biosintesi di molecole, con concomitante liberazione di ossigeno nell’ambiente.
Variazioni dei valori di clorofilla riflettono variazioni nella presenza e quantità di microalghe, influenzate, tra gli altri fattori, da luce, fattori di stress e presenza di nutrienti.
Unità di misura: RFU (Unità di Fluorescenza Relativa) o microgrammi/L. Il rapporto tra le due unità di misura dipende dalla temperatura dell’acqua al momento della misurazione.
Per approfondire
La clorofilla viene misurata per capire quante microalghe sono presenti nell’acqua. Le microalghe sono organismi autotrofi, come le piante, ovvero in grado di svolgere fotosintesi e quindi produrre i propri nutrienti e liberare ossigeno nell’ambiente. Buona parte dell’ossigeno presente in acqua viene infatti proprio prodotto da organismi autotrofi marini: piante, alghe e fitoplancton (alghe di piccolissime dimensioni, formate anche da una sola cellula).
Questo ossigeno in parte rimane nell’acqua, mentre in parte raggiunge la superficie del mare e passa in atmosfera: circa il 50% dell’ossigeno che respiriamo è infatti prodotto proprio negli oceani!
Valori molto bassi di clorofilla in mare possono quindi rappresentare un problema anche al di fuori dell’acqua: indicano infatti mancanza o scarsità di microalghe, e quindi della produzione di ossigeno necessario per la vita dentro e fuori dall’acqua.
D’altra parte, invece, un eccessivo aumento dei valori di clorofilla può indicare la presenza di bloom algali: in alcuni casi le microalghe possono proliferare molto velocemente dando vita alle cosiddette fioriture algali. Sebbene ciò possa apparentemente sembrare positivo per un aumento della produzione di ossigeno, i bloom algali hanno delle ripercussioni negative sull’ambiente. Infatti, al momento della morte delle alghe, molto dell’ossigeno presente in acqua viene utilizzato dai batteri per la loro decomposizione. L’ossigeno disponibile per gli altri organismi, quindi, diminuisce velocemente e molti organismi non riescono a sopravvivere.
Inoltre, alcune specie di microalghe che proliferano in questi casi liberano nell’ambiente sostanze tossiche, mucillaginose e maleodoranti, con importanti ripercussioni anche sul benessere e la salute umana.
La ficoeritrina è un pigmento fotosintetico accessorio appartenente al più ampio gruppo delle ficobiline, pigmenti presenti in alghe rosse, cianobatteri e criptofite. Ha una colorazione rossa (da cui ne deriva il suffisso -eritrina) e una forte fluorescenza gialla.
Trattandosi di una molecola fotosensibile è possibile misurare la sua presenza tramite l’utilizzo di metodi ottici basati sulla fluorescenza. È un parametro utilizzato per valutare e quantificare la presenza di microalghe in mare.
La ficoeritrina ha un picco di assorbimento della luce tra 545 e 566 nm, lunghezze d’onda al di fuori del range di assorbimento di clorofille e carotenoidi.
Variazioni dei valori di ficoeritrina riflettono variazioni nella presenza e quantità di microalghe, influenzate tra gli altri fattori, da luce, stress e presenza di nutrienti.
Unità di misura: RFU (Unità di Fluorescenza Relativa)
Per approfondire
Per compiere la fotosintesi, gli organismi vegetali sono in grado di assorbire la luce grazie a pigmenti fotosintetici. Il principale è la clorofilla a, presente in tutti gli organismi vegetali marini, ma per poter assorbire luce a diverse lunghezze d’onda molti organismi hanno sviluppato pigmenti diversi, detti pigmenti accessori. Uno di questi è la ficoeritrina, presente ad esempio nei cianobatteri, anche detti alghe azzurre.
Misurare la ficoeritrina è quindi utile per valutare la presenza di microalghe appartenenti ai gruppi dei cianobatteri e delle alghe rosse in mare. Un aumento o una diminuzione dei valori di ficoeritrina hanno gli stessi effetti della variazione della clorofilla in mare (Vedi Clorofilla)
Il pH indica l’acidità o la basicità di una soluzione acquosa, espressa dal cologaritmo decimale della concentrazione degli ioni idrogeno.
Un pH di 7,0 è neutro; i valori inferiori a 7 sono acidi; i valori superiori a 7 sono alcalini.
L’acqua del mare è leggermente alcalina, generalmente con un pH che si aggira attualmente intorno a 8.1 (con un decremento rispetto al passato di 0.1), ma sono presenti gradienti naturali del pH dell’acqua di mare.
Questo parametro è influenzato da fattori fisici e biologici: temperatura dell’acqua, sorgenti e presenza di carbonati causano una naturale variazione del pH.
Variazioni di questo parametro sono causate anche da fattori antropici: l’aumento di anidride carbonica in atmosfera è causa dell’acidificazione dei mari, per il quale si registra oggi un valore medio di pH inferiore di circa 0,1 unità rispetto al passato.
Il pH dell’acqua di mare è infatti influenzato dall’anidride carbonica atmosferica, che all’interfaccia aria-acqua viene in parte trasferita al mare, dove agisce sull’equilibrio tra acido carbonico e ione bicarbonato, causando un aumento degli ioni H+ e la conseguente diminuzione del pH.
Unità di misura: Adimensionale
Contenuto medio negli oceani: 8.2
Per approfondire
Quando si sente parlare di acidificazione dei mari è proprio al pH che ci si sta riferendo. Il mare aveva un pH leggermente basico, intorno a 8,2 che veniva mantenuto stabile da complessi equilibri. Con l’aumentare dell’anidride carbonica in atmosfera si assiste anche ad un aumento di CO2 nelle acque. L’anidride carbonica, infatti, è un gas e, come tutti i gas, si sposta da zone dove è più concentrata, in questo caso l’atmosfera, a zone dove è meno concentrata, ovvero la superficie del mare. Una volta all’interno dell’acqua agisce sugli equilibri che mantengono stabile il pH: se la CO2 raggiunge quantità troppo elevate causa una diminuzione del pH marino, ovvero la sua acidificazione.
Questo processo ha effetti negativi soprattutto sugli organismi e i substrati formati da carbonato di calcio. Tra questi organismi ci sono anche i coralli, animali coloniali che producono uno scheletro esterno formato proprio da carbonato di calcio. Quando questi muoiono, i loro scheletri rimangono nell’ambiente e con il tempo vanno a formare le famose scogliere coralline, importanti ecosistemi marini ma anche importantissimi substrati per la vita di molte persone: molte isole abitate o intere nazioni, come le Maldive, sono fondate proprio su scogliere coralline!
Il carbonato di calcio è però un composto che si dissolve con la diminuzione del pH, quindi l’acidificazione delle acque può avere ripercussioni molto gravi per la vita di organismi marini, ma anche per la vita di intere popolazioni.
La torbidità è la misura indiretta della concentrazione dei solidi sospesi in acqua ed è tipicamente determinata illuminando una luce nella soluzione campione e quindi misurando la luce che viene dispersa dalle particelle sospese. La torbidità è un fattore importante per la qualità dell'acqua ed è uno strumento fondamentale per monitorare i cambiamenti ambientali dovuti a eventi come il deflusso meteorologico o gli scarichi illeciti. La fonte dei solidi sospesi varia (gli esempi includono limo, argilla, sabbia, alghe e materia organica) ma tutte le particelle influenzeranno la trasmissione della luce e daranno luogo a un segnale di torbidità.
Generalmente i valori di torbidità sono maggiori nelle zone costiere, dove diversi fattori, tra i quali le attività antropiche, causano maggiore presenza di solidi sospesi. In zone costiere sono inoltre presenti più nutrienti che in zone offshore (generalmente oligotrofe), pertanto il fitoplancton può maggiormente proliferare, diminuendo la trasparenza delle acque. Le zone con maggiore torbidità sono in particolare le zone estuarine, dove l’afflusso di acqua fluviale trasporta una grande quantità di solidi sospesi di diverse dimensioni.
La penetrazione della luce è pertanto massima in zone di altomare e diminuisce verso le coste, per raggiungere un minimo in zone di estuario.
Unità di misura: NTU (Nefphelometric Turbidity Unit)
Per approfondire
La torbidità è un parametro che indica la presenza di solidi nell’acqua, ed è utilizzato per determinarne la qualità.
Perché la vita in acqua proliferi è necessaria la presenza della luce. Le microalghe e gli altri organismi vegetali hanno infatti bisogno di luce per compiere la fotosintesi e quindi per produrre nutrienti e liberare ossigeno, necessari per la vita di tutti gli organismi marini. Lungo la colonna d’acqua, dalla superficie alla profondità, troviamo la zona fotica, dove c’è luce, la zona disfotica, in cui la luce scarseggia, e la zona afotica, in cui non è presente luce ed è quindi buia. La profondità di queste zone cambia da costa al largo; infatti, dove l’acqua è più torbida la luce può penetrare meno nell’acqua e quindi raggiunge profondità minori. Questo avviene naturalmente spostandosi da costa, dove ci sono più solidi sospesi nell’acqua per ragioni naturali ma anche influenzate dall’uomo, verso le zone in mare aperto.
Quando la torbidità raggiunge valori troppo elevati si possono avere ripercussioni sullo stato di salute delle acque e dei suoi organismi: con una maggiore torbidità si ha minore penetrazione della luce e quindi minore fotosintesi da parte dei produttori primari. Acque più torbide sono infatti acque generalmente meno ossigenate, con ripercussione su tutti gli organismi di quell’ambiente.
I solidi sospesi sono particelle presenti nella colonna d’acqua. Possono essere particelle inorganiche (ad esempio limo, sabbia e argilla) o organiche (come microalghe e materia organica). La presenza dei solidi sospesi è influenzata da fattori naturali, quali apporto fluviale, precipitazioni, moto ondoso e venti, o da fattori antropici, come il rilascio in mare di materiali di scarto, ripascimenti delle spiagge e opere urbanistiche costiere.
La presenza di solidi sospesi aumenta la torbidità delle acque, questi sono pertanto due parametri misurati in relazione tra loro.
Unità di misura: mg/L
Per approfondire
All’interno della colonna d’acqua sono presenti solidi sospesi. Queste particelle possono essere inorganiche, ovvero particelle che derivano da rocce o sedimenti, come la sabbia e l’argilla, oppure possono essere organiche, ovvero particelle vive, come le microalghe, o comunque legate alla vita, come scarti di organismi.
Questi solidi sono generalmente presenti in modo naturale nel mare, e solitamente sono presenti in quantità maggiori vicino alla costa, soprattutto nelle zone di estuario, rispetto che a largo. Vicino alla costa infatti molte particelle possono derivare proprio dalla terraferma, trasportate in acqua dai venti o dai fiumi, oppure possono essere risospese dal fondale a causa delle onde.
I solidi sospesi possono derivare anche da azioni dell’uomo. Prima dell’estate, ad esempio, in molte spiagge vengono attuati dei ripascimenti, ovvero vengono versati materiali sulla spiaggia per aumentarne la dimensione in vista del turismo estivo. Questi materiali raggiungono anche l’acqua del mare, dove a causa della piccola dimensione, rimangono sospese nella colonna d’acqua aumentandone la torbidità, con ripercussioni sugli equilibri degli organismi marini (Vedi Torbidità).